“25 luglio 1687. Memoria della prima pietra messa nel fondamento della fabrica della nova chiesa posta per il reverendo signor Bernardino Olmo arciprete dall’illustrissimo signor Antonio Gambara deputato et Giovanni Battista Lando et Giovanni Battista Caglio altri deputati della suddetta fabrica et maestro Bartolomeo Spas capo mastro di detta fabrica. Fatto la processione solemne, benedittione del loco con tutte le solemnità presenti tutto il Comune e molti altri”.
Così alla carta 220 del nostro Liber Iurium, il cronista ricorda il giorno in cui la comunità di Ospitaletto, ricevuta l’autorizzazione dall’autorità veneta per la costruzione della nuova chiesa, si appresta a deporre la prima pietra nelle fondamenta del nuovo edificio alla presenza dell’arciprete, dei deputati della fabbrica e dei rappresentanti del comune. Ci preme sottolineare due aspetti. La data non è certamente casuale: il 25 luglio, giorno nel quale la chiesa fa memoria di san Giacomo Maggiore, patrono di Ospitaletto, la comunità decide di procedere alla posa della prima pietra quasi a sottolineare la conferma nella protezione del santo in questo atto così solenne. L’altro aspetto sul quale è importante soffermarsi è certamente il nome del capomastro: Bartolomeo Spas. Allo stato attuale delle ricerche, nei documenti presenti nell’archivio parrocchiale, questa è l’unica volta nella quale compare il nome di colui che a ragione può essere indicato come l’architetto della nostra chiesa. Poco o quasi nulla si conosce di questo personaggio. Non esiste, allo stato attuale, una biografia che illustri l’operato di questo capomastro, possiamo comunque passare in rassegna alcune notizie anche solo per creare il contesto dell’esperienza di Bartolomeo Spas.
Nelle poche informazioni fino ad ora raccolte Bartolomeo compare sempre come Spazzi o in rarissimi casi come Spatti. Sicuramente Spas doveva essere una forma dialettizzata del suo cognome. Una prima notizia rinvenuta è che Bartolomeo è imparentato con un certo Bartolomeo Carloni, decoratore, nato a Scaria in Val d’Intelvi nel 1650 e morto sempre a Scaria nel 1724. La famiglia dei Carloni si suddivide in vari rami e tutti sono originari della Val d’Intelvi: una valle posta tra il lago di Como e il lago di Lugano nella quale per secoli si sono formate generazioni di stuccatori, capomastri, decoratori e pittori che prestarono la loro opera in tutta l’Italia settentrionale e nell’arco alpino spingendosi fino in Ungheria. Bartolomeo Spazzi sposa la sorella di Bartolomeo Carloni, Marianna Margherita Carloni. A Bartolomeo e Margherita verranno affidati due nipoti in seguito alla prematura morte del padre: di questi Domenico frequenterà per due anni un accademia pittorica a Brescia.
Bartolomeo Spazzi compare inoltre nel 1720 a fianco dell’architetto Giorgio Massari, spesso assente, nella costruzione della chiesa della Pace a Brescia e nel 1731 verrà sostituito alla direzione del cantiere da Giacomo Scalvi. Lo stesso Bartolomeo è impegnato nella costruzione fin dal 1682 della chiesa di Castegnato accanto a Antonio Spazzi attivissimo architetto comasco che tra la fine del Seicento e gli anni cinquanta del Settecento interviene nella costruzione di numerose chiese del bresciano (Bedizzole, Torri del Benaco, Ceto, Masciaga, Salò, Manerba del Garda, Zone, Magno, Bovegno, Bornato, Malegno). Al momento non ci è ancora dato di ricostruire il grado di parentela dei due, infatti in alcuni casi vengono citati come Antonio, padre di Bartolomeo, in realtà le date non permettono questo tipo di ipotesi; forse nemmeno fratelli in quanto Bartolomeo sembrerebbe figlio di Francesco mentre Antonio figlio di Carlo.
Un ultimo elemento che ci fa supporre nella presenza di maestranze intelvesi nella costruzione e decorazione della nostra chiesa è dato dall’attribuzione del paliotto dell’altare della Natività nel quale è raffigurata la Madonna di Caravaggio. Nella decorazione di questo paliotto infatti viene utilizzata una particolare tecnica detta scagliola policroma che ad imitazione della tarsia marmorea utilizza gesso unito a collanti organici e pigmenti colorati a base di pietre macinate. Proprio in Val d’Intelvi tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Settecento si venivano formando alcune famiglie che svilupparono l’invenzione della scagliola in particolare nella produzione di paliotti e tabernacoli.